Il petrolio è sceso di quotazione, tornando a perdere terreno dopo due giorni di rialzo guidato soprattutto dallo short covering dopo che le scorte di benzina sono scese più delle attese nel territorio degli Stati Uniti d’America. A questo punto il mercato assume una posizione di grande attesa per la prossima pubblicazione di importanti dati e report a fronte di bassi volumi, considerando che – sottolinea un report ISP di pochi giorni fa – i volumi totali scambiati sui contratti WTI sono stati del 40 per cento inferiori alla media a 100 giorni.
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Prezzi petrolio in calo, ecco perché
I prezzi del petrolio sono in flessione. E la motivazione, in buona evidenza, sembra essere ricollegata i segnali che i produttori di shale oil statunitensi hanno lanciato al mercato: la volontà di adattarsi al conteso di prezzi bassi, in un contesto che sembra esser sempre più riguardato dalla debolezza dell’economia asiatica, dove i raffinatori stanno già riducendo i flussi di produzione.
Alla luce degli impulsi di cui sopra, il futures sul Brent è oggi quotato intorno ai 46,3 dollari al barile, in flessione di quasi 50 centesimi di dollaro rispetto alla chiusura di ieri. Di contro, il greggio Wti, per il mercato Usa, starebbe cedendo 54 centesimi a poco meno di 44,9 dollari.
Accordo petrolio Russia – Arabia, ecco perchè non funziona
Il petrolio ha chiuso la scorsa settimana in calo a New York: il light crude Wti ha ceduto 1,13 dollari nella giornata di venerdì a 29,64 dollari al barile dopo che è sfumato il cosiddetto accordo di Doha sul congelamento della produzione. Insomma, come era facilmente lecito attendersi, l’ipotesi di intesa tra Russia e Arabia sul congelamento dei livelli di produzione non ha funzionato.
Iran e Iraq, che pure avevano espresso appoggio formale all’iniziativa russo-saudita, alla fine non hanno aderito, con una posizione netta soprattutto da parte degli iraniani, recentemente tornati all’export di greggio dopo la sospensione delle sanzioni.